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52// A Gerusalemme è il giorno dell’Europa
BETLEMME – Sia da parte palestinese che israeliana, durante gli incontri istituzionali di questi giorni abbiamo più volte sentito chiamare in causa la funzione dell’Europa nella soluzione del conflitto. Un ruolo, inutile nasconderselo, storicamente debole. Tanto debole che, dopo aver dato un contributo decisivo alla fondazione dello stato di Israele nel 1948, grazie soprattutto all’impegno di Inghilterra e Francia, mai più l’Europa è riuscita a conquistarsi spazi diplomatici all’altezza delle sue responsabilità nei passaggi cruciali della storia mediorientale.
Non a caso l’altro ieri, senza troppi giri di parole, un sindaco palestinese invocava un impegno politico più deciso del Vecchio continente nel far rispettare il diritto internazionale a Israele. Un’esigenza diffusa che mostra oggi tutta la sua urgenza evidenziando pregi (pochi) e limiti (tanti) dell’iniziativa europea.
Di questo si è discusso nell’affollatissima conferenza internazionale svoltasi al Notre Dame of Gerusalem Center. Tra i temi più controversi quello del peccato originale che pesa sugli europei: la debolezza delle democrazie liberali di fronte all’Olocausto. È un terreno scivoloso per tante ragioni. L’inefficacia dell’agire europeo nell’odierna situazione mediorientale rischia di apparire come il tentativo di riparare un torto determinandone, di fatto, un altro, facendo ricadere sui palestinesi i crimini, le complicità e l’indifferenza che oltre sessant’anni fa annebbiarono le coscienze dei governi e dei popoli. Durante la conferenza, i leader delle Ong che operano in Palestina hanno con forza ribadito che criticare duramente le azioni del governo d’Israele non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo. Un conto è il popolo ebraico, un conto il governo dello Stato di Israele. Non sono due facce della stessa medaglia. Va sempre respinta l’equazione tra condanna della violazione dei diritti umani perpetrata da un governo e pregiudizio verso il suo popolo. Chiarire una volta per tutte questo concetto significa da un lato sgombrare il campo da strumentalizzazioni che producono mala informazione e dall’altro restituire il significato più autentico a parole come pace, dialogo, confronto e democrazia.
I molti contributi alla conferenza ci consegnano una prospettiva che va nel verso giusto, rilanciando l’interlocuzione tra operatori della società civile, governi e autorità locali. Si auspica una riflessione profonda su alcune questioni rimaste spesso insolute per convenienza o scarso coraggio. Su tutte le modalità di impiego dei finanziamenti legati alla cooperazione allo sviluppo nell’area e l’applicazione integrale degli accordi internazionali tra i quali merita di essere menzionato l’accordo di Associazione Ue-Israele in cui i benefici economici per Tel Aviv sono subordinati al rispetto dei diritti umani (art.2).
Proprio da Gerusalemme, città simbolo dell’incontro delle religioni monoteiste dove i tre luoghi sacri per eccellenza, Santo Sepolcro, Spianata delle Moschee e Muro del Pianto sono separati da pochi metri, vorremmo che ripartisse il senso profondo di una ricerca e di una speranza che, forse, non ha più tempo per ulteriori rinvii.
Betlemme, 13 ottobre 2009